Questi giorni è tornata in auge la questione della disparità economica in cui versa l’Italia tra nord e sud attraverso il referendum avvenuto in Lombardia e Veneto, le quali richiedo non una divisione sul piano politico dallo Stato ma maggiori autonomie sul piano economico, visto il grande differenza che vi è tra tasse pagate, quindi “intascate” dallo Stato, e ritorno liquido che ne hanno le due regioni, nettamente a vantaggio dello Stato.
Ovviamente i numeri a testimonianza sono facilmente reperibili, ma più che soffermarsi su questo dettaglio non da poco, la cosa che salta subito all’occhio è come sia possibile per uno stato unito da più di 150 anni avere ancora nord e sud che viaggiano a due velocità?
Cause storiche se ne trovano in tutti i libri di storia, ma perché non provare a colmare questo divario se ci viene insegnato fin da scuola?
Innanzitutto inizierei con un paragone molto semplice, lo Stato può essere parzialmente avvicinato all’esempio di una azienda, meglio dire una fabbrica, con tutti i suoi processi produttivi fino al finale rendiconto. Potrà mai una azienda come ad esempio Ferrari lavorare non ad unisono, non muovendosi con il medesimo vigore verso un risultato comune?
La risposta è NO.
Il punto allora sarà raggiungere in Italia una maggiore integrazione economica, far risorgere il sud, investendo e portandolo ad una sostanziale parità con il nord, differenziando la tipologia di produzione e portandolo ad essere partecipe e rilevante sul piano mondiale. Questo può avvenire solo se si lavora in simbiosi, portando il know how in tutto il territorio e spingendo verso una integrazione che deve essere sul piano della diversità di prodotti e nella direzione di un’unica leadership italiana e non regionale a livello globale.
Perciò non è giusto ne che il nord smetta di “pompare” soldi nelle casse dello Stato, poiché se la forbice si allarga potrebbe pagare conseguenze l’intero Paese, ma neanche che il sud dorma in attesa di un cambiamento che non ci sarà se non parte da dentro, dai meandri del meridione.
Un esempio che può avvalere la tesi è quello del turismo, perché non spingere su percorsi creati tra regioni anziché pubblicizzare una regione più di un’altra a livello internazionale (costa adriatica da nord a sud etc)? Se al posto di continuare a parlare di divisioni si iniziasse studiare una struttura aziendale a matrice con linee perlopiù orizzontali, applicabili tra regioni (che contengono anche i manager delle aziende più rilevanti, i portavoce delle maggiori produzioni regionali, che sia vino, grano, acciaio, servizi etc) coadiuvando le idee e le risorse ad uno scopo comune, abbattendo di sicuro spese e massimizzando la resa utile.
Questa magari è una idea buttata lì che serve ad auspicare un intervento dei cittadini e della politica nel verso dell’unione nazionale come unico punto di svolta.
Articolo scritto da Marco Addante.
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