Recensione di Renata Amoroso
Il colibrì è Marco Carrera. La mamma lo chiama così, come un grazioso uccellino di cui Marco non ha soltanto la piccolezza (per un problema legato alla crescita), ma anche la grazia e la velocità. Curioso il fatto che nella vita erediterà dal colibrì la capacità più caratteristica: Marco nella vita sta fermo, che non è facile. E’ più semplice andare in lungo e in largo per il mondo, a volte senza neanche una meta, piuttosto che non fermarsi. Però anche se uno sta fermo, la vita va… e quella di Marco Carrera è una vita veloce, anche più delle altre. Una vita che non si riesce proprio a starle dietro. Povero Marco Carrera.
La cosa particolare di questo romanzo è la sua costruzione. E’ un puzzle da ricomporre. I vari pezzi della vita di Marco si intrecciano in un garbuglio di passati, presenti e futuri che a volte ci si perde. Ma quando tutto si ricompone sembra avere un senso. Sembra, perché alla fine il senso glielo diamo noi. Pensiamo che ci sia un destino scritto da qualche parte per spiegarci i mali e le croci che la vita ci ha dato. E Marco Carrera di croci ne ha talmente tante che una spiegazione bisogna darsela per forza.
Pochi vivono una vita crudele come quella di Marco, per fortuna. Eppure lui riesce sempre a trovare uno scopo, una ragione, fino alla fine.
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