Recensione di Renata Amoroso
William Stoner è un uomo qualunque e la sua è una vita qualunque. Non ci sono imprese eroiche o disperazioni atroci, non ci sono grandi storie d’amore, né slanci vitali. Egli nasce da una rozza famiglia di contadini e si ritrova all’Università di Missouri. Qui viene completamente assorbito dal fascino della letteratura inglese e quindi si ritrova professore dell’università, senza quasi sapere come. La sua vita scorre tra un matrimonio fallito e una carriera bruciata e Stoner sembra lo spettatore passivo di uno spettacolo uscito male. Non reagisce mai, non si ribella, non morde la vita. Lui si limita a esistere.
Stoner è un romanzo di formazione incentrato sulla mediocrità. Non è però un romanzo mediocre, tutt’altro. Le riflessioni sono talmente profonde che bisognerebbe annotare con la matita quasi tutte le pagine del libro. Le vicende sono narrate con una nettezza e fluidità che fa arrivare il lettore alle ultime pagine senza nemmeno accorgersene.
E’ facile scrivere un bel romanzo sulla storia di un eroe; difficile è farlo parlando di un antieroe, un inetto alla vita, un uomo ordinario che non ha niente da raccontare. Ma la sfida è proprio questa. Gli eroi nel mondo sono pochi, invece la maggior parte di noi vive come William Stoner. Per questo si entra in empatia con lui e alla sua morte manca un po’ come un amico al quale non si è riusciti a spiegare come vivere.
Che poi com’è che si vive? Esiste una ricetta? Chi l’ha detto che bisogna essere per forza degli eroi?
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